Questo è il resoconto di due incontri-lezione di filosofia tenuti dalla prof. Marina Maruzzi insegnante al liceo Tommaseo di Venezia.
Il primo, “L’amore al tempo della Polis”, è avvenuto il 12 dicembre 2013 e il secondo, “Politica, istruzioni per l’uso”, il 9 aprile 2014.


 

 

 

 

 

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di Luciano Niero

 

L’amore al tempo della Polis

 

L’insegnante apre con un aforisma filosofico “la filosofia soddisfa la conoscenza ma soprattutto insegna a vivere”; ricorda quindi Hannah Arendt, importante filosofa tedesca che, alla domanda di un giornalista su “che effetto fa parlare in pubblico”, rispondeva ironicamente: “la sua è una domanda molto maschile, quando io parlo in pubblico non voglio avere un effetto sugli altri ma voglio che abbiano capito come ho capito io”.

E’ con questo spirito che l’insegnante vuole presentarsi a noi, cioè far capire alcune cose della civiltà greca antica; quando parliamo della civiltà greca noi abbiamo in mente l’immagine consueta della classicità, della bellezza dei templi, delle statue, delle tragedie greche.

La professoressa passa poi a ricordare il pensiero di Nietzsche, filologo del mondo antico, che nel 1872 scrive una tesi sulla cultura antica nella quale afferma che vi sono in essa due anime, l’apollinea, dal dio Apollo, ovvero la razionalità, la perfezione rappresentata dai templi e dalle statue (in origine tutte colorate) e la dionisiaca, dal dio Dionisio o Bacco che rappresenta la naturalità, con i culti della fertilità che terminavano con orge rituali, in realtà forme di propiziazione degli dei.

L’insegnante ci presenta poi un libro, che tratta di come si concepiva l’amore nella civiltà greca, dal titolo I filosofi e l’amore ed. Cortina, passa quindi ad analizzare i termini dell’argomento.
Aristotele definisce l’Eros come la passione, ad esempio l’amore fra due giovani, e definisce la Filia, come l’amore coniugale o l’amicizia.
L’Eros si trova all’inizio dei miti cosmologici in diversi modi.
Nella cosmogonia di Esiodo, Eros nasce dall’uovo cosmico, fu il primo degli dei e veniva raffigurato come un fanciullo ribelle, a stimolo delle unioni amorose.

Per Empedocle di Agrigento, un importante filosofo che sviluppò la medicina, vi sono quattro forze o “radici eterne” : la terra, l’acqua, l’aria e il fuoco, che si aggregano e mescolano grazie a due forze cosmiche contrapposte Odio e Amore, e dall’equilibrio perfetto di queste dipende la salute del corpo umano; ciò si può anche paragonare alle forze scoperte nell’800 come la forza positiva e negativa in elettricità.

Platone, nel Convivio o Simposio (che è il momento seguente a una cena nel quale i convitati dialogano tra loro libando) fa parlare Socrate e Aristofane.
Aristofane racconta che in origine gli uomini avevano tre sessi, maschio, femmina e androgino.
L’androgino aveva quattro gambe e quattro braccia, due volti e due sessi diversi, egli si sentiva per questa sua condizione il più forte e con un atto di superbia pensò di spodestare gli dei; Zeus allora per castigo tagliò gli androgini in due e, così mutilati, essi sentivano la “mancanza” dell’altro e tentavano di recuperare la forma originaria cercandosi e abbracciandosi per ridurre la sofferenza.
Da questa “mancanza” nasce il mito del desiderio per l’altro, per completarsi; l’insegnante fa qui un paragone simbolico con il taglio del cordone ombelicale alla nascita, momento importante che separa dall’unità originaria.

Quindi parla Socrate, il quale racconta che la sacerdotessa Diotima gli ha svelato come Eros sia nato durante un banchetto preparato dagli dei per la nascita di Afrodite, in questa occasione furono invitati Penia (la povertà) e Pòros (l’astuzia), dal loro amplesso nasce Eros (Amore), nato quindi da povertà, da privazione e dal desiderio; rivela ancora Diotima che Eros non è un dio ma un demone, un daimon il quale, privo di amore, mosso dalla mancanza, è alla ricerca dell’altro, della sua bellezza anche fisica, ma amore è anche Mania ovvero divina Follia.

Concludendo: per Platone e per la civiltà greca, Eros è l’amore per il bello, il desiderio della bellezza dell’altro, della persona, delle sue azioni, della sua fisicità, perché attraverso l’amore per l’altro si migliora se stessi e senza Eros la vita perde di senso, l’Amore è mosso dal desiderio del Bello, del Bene e del Vero.

L’insegnante infine conclude che per Platone il cosiddetto “amore platonico” non è proprio come lo pensiamo noi cioè “solamente amore spirituale”.

Politica, istruzioni per l’uso

Nel pensiero greco troviamo tutte le categorie fondanti del pensiero politico; vedremo quindi di recuperare i concetti principali e le “istruzioni per l’uso” dei filosofi greci sulla “politica”.
La parola politica deriva da polis termine traducibile in italiano con città-stato, usato nel mondo greco per primo da Aristotele come “ta politikà” ovvero le cose, gli eventi della città; inoltre la politica era praxis cioè come si direbbe oggi “il fare”.
La polis, nella filosofia antica, è la condizione ”sine qua non” che permette all’individuo di essere “essere umano”.

Al di fuori della città, secondo Aristotele, vi sono “le bestie e gli dei”; la comunità politica è il naturale prolungamento del tuo essere, l’individuo che è “singolo” per natura dalla nascita, biologicamente e socialmente, per realizzare la sua “essenza” non può vivere fuori della comunità.
Per Aristotele la città è physis cioè una condizione naturale formata dalla famiglia, l’insieme delle famiglie formano il villaggio, l’insieme dei villaggi formano la Polis, fuori da essa vi sono gli esclusi cioè gli schiavi, non dotati della capacità di scegliere, le donne e gli stranieri.

Prima di Aristotele, Platone e Socrate, a parlare della città fu nel 5° sec. Protagora, primo degli agnostici, egli afferma che “degli dei non possiamo dire che siano o che non siano” vista l’oscurità dell’argomento, ed è anche il primo relativista in quanto sostiene che “l’uomo è la misura di tutte le cose” ovvero metron e ogni società ha le sue usanze, i suoi costumi nomoi.

Protagora visse nel periodo di Pericle, il periodo del massimo splendore della Grecia antica nel quale vi era una forte “democrazia diretta”, perché tutti i cittadini potevano e dovevano partecipare alle assemblee, alle bulè con la possibilità di parlare nei dibattiti.
Per questo ebbero successo i Sofisti che insegnavano specialmente ai più ricchi la retorica, l’arte del parlare e furono poi odiati da Socrate proprio perché si facevano pagare.

Alla morte di Pericle però si scatenarono grandi conflitti sociali e scoppiò la guerra civile, tra il governo oligarchico dei “trenta Tiranni”, conservatori, e i “democratici” entrambi spietati nelle loro vendette.
Nella tragedia Antigone di Sofocle viene messa in evidenza la contraddizione tra le leggi di natura e la legge degli uomini: si racconta la guerra civile nella quale due fratelli, figli del re Creonte, combattono su due opposti schieramenti. Uno dei due muore e il suo corpo rimane insepolto, come comandano le leggi dell’editto di Creonte, per il quale il corpo del nemico ucciso doveva essere lasciato alla mercè dei corvi. Antigone, innamorata del defunto, diventa una figura emblematica perché si oppone alla legge sfidando Creonte e affermando “chi sei tu per sfidare la legge del sangue e di natura? ” e per questo morirà.

Per Platone le leggi dello stato sono buone se perseguono il “bene” e se fanno la felicità dell’individuo; egli è il fondatore della scuola denominata Accademia e primo autore di un testo sulla politica la Politeia nel quale tratta il problema della giustizia e dello stato; racconta quindi la morte di Socrate e di come accettò la pena capitale senza fuggire per il rispetto delle “Leggi”.
Per Platone la giustizia è “equità” ovvero ciascuno ha quello che gli compete.

Riportando ai nostri giorni tali riflessioni, si può dire che la comunità è il nostro habitat naturale, le leggi devono essere funzionali al benessere della comunità, si deve sentire la città come qualcosa di nostro, con la condivisione degli obbiettivi e la partecipazione alle attività; ovvero, come per gli antichi, sentire l’onore e l’onere della cura della città; un buon esempio di ciò furono gli aristocratici della Repubblica di Venezia che con il loro denaro sostenevano le varie “Scuole” di assistenza e costruivano i loro palazzi in mezzo alle case del popolo, ottenendo così anche la condivisione del popolo stesso e il reciproco controllo.

La professoressa Marina conclude con la frase emblematica “fuori della Polis o sei una bestia o sei un dio”.